La storia dei Karen e della loro lunga lotta per l’autodeterminazione e la riconquista dei territori a loro sottratti, e tutt’ora occupati dall’esercito birmano, ha radici profonde. Discesi in epoche lontanissime dalla Mongolia e dal Tibet, dopo aver attraversato il “grande fiume delle sabbie che corrono”, che oggi i più identificano con il deserto del Gobi, si stanziarono nel 730 a.C. nelle fertili lande collinari nei pressi delle foci dei fiumi Irrawaddy e Salween nell’attuale Birmania. Chiamarono questi luoghi vergini “Kawthoolei”, cioè la buona terra, la terra dei fiori o anche la terradei puri.
Inseriti nelle vicende storiche che videro le etnie che abitavano quelle terre, perennemente in lotta fa loro per il possesso delle aree agricole, per i Karen inizia un periodo di duro confronto con l’etnia Birmana nel XIX secolo, la cui escalation viene fermata solamente dalla conquista coloniale inglese del sud est asiatico. Durante il periodo coloniale il popolo Karen intravede nella grande avanzata giapponese in Asia, durante il secondo conflitto mondiale, la scintilla dell’indipendenza. Finita la guerra la Gran Bretagna dismette l’impero e la Birmania viene avviata all’autogoverno. Tutto sembra andare nella direzione auspicata con un governo etnicamente misto e funzionari Karen che ricoprono le cariche più alte dello stato. Il mondo però è già scivolato in quell’immenso gioco strategico che risponde oggi al nome di “guerra fredda” e la Birmania diventa l’obiettivo della south strategy cinese. Il periodo democratico dura poco, il leader dell’indipendenza birmana, generale Aung San, che aveva appoggiato i Giapponesi durante la guerra per poi cambiare bandiera a guerra quasi conclusa, viene ucciso dal rivale politico.
Sulle colline dei Karen la situazione non è cambiata, ancora catalogate come “black areas”, aree cioè dove i diritti umani non sono garantiti, le provincie Karen subiscono i costanti attacchi delle milizie birmane. Il nove aprile del 2018 le autorità Karen avevano diramato un bollettino d’urgenza per denunciare gli attacchi in corso nel distretto di Mutraw. Nel bollettino si legge chiaramente che, infrangendo il “cessate il fuoco” l’esercito birmano aveva attaccato i villaggi della zona causando la fuga di più di 2500 civili. Oltre ad un appello, tuttora inascoltato, alla Sig.ra Aung San Suu Kyi, oggi Segretario di stato, si legge anche che in data 5 Aprile il quarantaduenne Saw o Moo, del villaggio di Ler Mu Plaw, era stato colpito da un cecchino birmano. Singolare perizia operativa considerando che la vittima era il responsabile della comunità locale e presiedeva al dipartimento per la tutela delle foreste della provincia, in cui i birmani hanno avviato la costruzione di una strada carrabile che dovrebbe, secondo i loro piani, tagliare a metà l’intera area. Risulta quanto mai chiaro lo standard doppio adottato dalle istituzioni birmane che, sanno bene che per attirare investitori stranieri e multinazionali, è necessario prestarsi al gioco democratico, ma non prevede assolutamente nessun tipo di sconto o tregua nei confronti delle etnie asserragliate ai margini della nazione e considerate semplicemente come fastidiosi coinquilini da eliminare. Fa scuola la triste vicenda dell’epurazione di più di trecentomila Rohingya dalle zone al confine con il Bangladesh che in meno di quindici giorni sono stati massacrati, arsi vivi, e scacciati dalle loro terre.
Chiaramente c’è chi nello Stato Karen ha mantenuto da sempre la mente lucida senza cadere mai nel gioco mortale della politica dei generali birmani. Il Generale della Kndo Nerdah Mya, attualmente comandante della forza di difesa interna alla Knla, una sorta di corpo d’élite, e figlio del leggendario leader Bo Mya. Con i suoi uomini, forti di una disciplina ferrea e di un continuo lavoro di crescita militare e culturale, il Generale Nerdah ha costruito un fronte della fermezza che raccoglie tutti coloro i quali, a ragione, non hanno mai appoggiato la linea morbida e accondiscendente della vecchia leadership Karen. Nei territori protetti dalla Kndo sorgono scuole, cliniche, campi sportivi e impianti agricoli, gli animali delle feste sono tutelati cosi come gli alberi di pregiato Teak. Si delinea, insomma, un progetto visionario ed embrionale di come i Karen sognino la loro terra. Un oasi di pace e giustizia dedita allo sviluppo della civiltà Karen sul sentiero della tradizione locale posta a tutela di quell’immenso patrimonio naturale che esso rappresenta. In un epoca in cui il “restiamo umani” sembra diventato quasi un imperativo categorico, i Karen si rivelano i più umani di tutti. Mantenendosi sul fronte dell’essere da sempre, e da sempre blandendo le loro semplici, sacre istanze, non chiedendo nulla a nessuno pronti a sacrificare tutto però per la loro terra. Nell’era della “consapevolezza globale” un’umanità che non ha né più tempo per se stessa né per gli altri si ritrova a fare i conti con un piccolo popolo in armi nascosto in una foresta infinita che combatte la guerra più lunga del mondo. Quella per la difesa dell’Identità. Una guerra giusta.
Alberto Palladino
(Già pubblico su Il Primato nazionale)