Una scia di isole ed isolotti, quasi tutti coronati dal verde scuro e inestricabile della mangrovia, a breve distanza dal continente Africano, lungo la costa Keniota su l’oceano Oceano Indiano.
A trentacinque miglia circa, il volatile confine Somalo di Kiunga, a Ovest la riserva della Boni Forest. E’ qui che i plotoni di miliziani di Al Shabab sfidano nella boscaglia le difese del Kenya Defence Forces alle quali sono integrati i consulenti militari Statunitensi in abiti civili e le folte barbe. E’ in questo contesto, complesso e interconnesso, che si trova il villaggio di Kiwayu , una isola oblunga, sottile, che punta verso il blu dell’oceano. Trecento bambini e seicento adulti, abitano il piccolo villaggio. L’etnia e’ essenzialmente Bajuni, una combinazione genetica tra i naviganti arabi e le popolazioni Bantu dell’interno del continente. L’elemento somatico nilotico si insinua nel tratto Africano, e con lui il pigro fatalismo dei neri del sud del Mondo nell’orgoglio dei ‘’Conquistadores’’ al servizio del profeta in continua spola con le loro vele Latine tra Sur e Zanzibar.
Possedevano un tempo il legno durissimo e prezioso delle mangrovie, le piantagioni di cocco , la selvaggina dell’interno e un mare tra i più’ pescosi del mondo ma, i colonizzatori Britannici, ridussero dell’80% il patrimonio di questa pianta acquatica indifferente al sale, il cocco che resta serve a poco se non a riempirsi la pancia di elettroliti e polpa ed il pesce è viene razziato da i giganteschi pescherecci cinesi che attraversano la vita del mare e lasciano dietro un deserto liquido.
Si fa presto a trasformarsi da una comunità’ autosufficiente dalla precisa identità e dal ruolo certo ad una umanità dai colori sgargianti dei kangas ma triste e inerte seduta davanti al mare in attesa di una aiuto improbabile, da parte di un governo centrale remoto, appollaiato sull’altopiano a seicento chilometri di distanza. Un governo che non conosce nulla del passaggio dei tonni, dei predatori cinesi, poco della infiltrazione islamista ma anche della cataratta, del glaucoma, della carenza vitaminica, della tubercolosi, del rachitismo, della perdita della memoria storica e quindi identitaria. Le “meraviglie” del globalismo liberale qui non si sono viste, se non in qualche link di Youp…n e nella gomma eterna delle infradito portate a riva dalle maree.
Difficile stabilire con precisione operativa di cosa un villaggio come Kiwayu ha bisogno e l’intervento di SOL.ID. è, ad oggi, essenzialmente esplorativo in assenza di una svolta risolutiva. Per esperienza, sappiamo che l’approccio deve essere pragmatico. Sappiamo che esiste una emergenza brutalmente basilare. Alcune famiglie non hanno di che nutrirsi, troppe per le nostre forze oggi, ma possiamo creare una piccola rotazione trimestrale di supporto. Le proteine dei legumi, i carboidrati delle farine di mais e di grano, l’olio di semi per cuocere, lo zucchero di canna per l’energia, il riso. Un quintale di generi alimentari sotto l’albero del consiglio del villaggio e una Comunità che si chiede se anche noi finiremo per non tornare come altri. Il rischio che questa azione si perda nel futuro per soffocamento senza una necessaria consequenzialità, un effetto vero. Servirebbe altro: servirebbe riattivare il frigorifero per la conservazione del pescato, servirebbe un corso di formazione professionale, una barca ambulanza per chi rannicchiato sul fondo dei Dhao naviga per sei ore fino ad un ospedale fatiscente e spesso muore nell’afa della bassa marea.
Servirebbe molto, ma Kiwayu si trova anche nelle periferie di Londra e di Amburgo, di Milano e di Atene e chi vuole dare una mano deve possedere la spietatezza atroce della visione di insieme, concentrarsi su un obbiettivo minuscolo, infinitesimale e ‘’stare sul pezzo’’ perché è possibile, perché indica una volontà e chissà che la soluzione di qualche necessità primaria non conduca ad un obbiettivo superiore, sia esso la riconquista del senso identitario e quindi l’orgoglio di una appartenenza, la fierezza della propria diversità e con queste la volontà di combattere per il nostro Popolo e un giorno anche lontano, smascherare l’inutilità la pietà buonista delle mani tese.
Claudio Modola